DALLE ACLI NAPOLI UN FORTE APPELLO AL CONFRONTO E ALLA RIFLESSIONE

No a facili isterismi, sì al contrasto del terrorismo. Serve andare alle radici dei sanguinosi fatti di Parigi. Lettera di Gianvincenzo Nicodemo Presidente Provinciale ACLI
letto 1005 volte
1-attentato-a-parigi-almeno-126-morti-200-feriti.jpg

E' il momento che tutti i credenti si uniscano”. Questo è il cuore dell’appello che il presidente delle Acli di Napoli, Gianvincenzo Nicodemo, rivolge oggi, dopo gli attentati di Parigi e le sue immediate conseguenze, comprese le ritorsioni militari all’estero e la restrizione delle libertà dei cittadini da parte dei Governi. E lo fa con una lettera aperta, con un richiamo alla realtà dei fatti, partendo dalla constatazione che, come in altri simili episodi, parte degli attentatori è formata da persone nate e vissute nelle società occidentali, istruite ed integrate in esse con piena cittadinanza.

Si dovrebbe, quindi, ragionare su questo. E sulle ragioni vere che motivano il fenomeno del terrorismo, senza scagliarsi “tout court” contro l’accoglienza dei rifugiati, in modo strumentale, ignorando le guerre e le politiche ciniche di tanti Governi occidentali che lo hanno invece “alimentato e foraggiato” negli ultimi decenni. Senza una riflessione approfondita anche sulle nostre società e sulle relative strutture, inoltre, non si andrà da nessuna parte.

In questo, “Napoli può diventare un laboratorio sociale”, per costruire dal basso il cambiamento desiderato e arrivare tutti, insieme alla ferma condanna delle “teologie della violenza”, ad aprire e vivere "spazi di condivisione e fraternità".

Cari fratelli,

ancora i riflettori mediatici sono puntati senza sosta sulla feroce aggressione che ha colpito in ben sei punti il cuore pulstante della capitale francese, e ancora si contano le vittime degli attentati di Parigi. I Governi hanno da subito avviato e annunciato misure di chiusura delle frontiere, ritorsioni militari, riduzioni della libertà dei cittadini. E' facile prevedere sciacallaggi politici e l'aizzamento nei confronti dell'Islam, in una società in cui la paura dello straniero e l'equazione tra islamici e terroristi è data in larga parte per acquisita.

Eppure, a quanto è emerso finora, come nel caso degli attentati di gennaio, almeno una parte degli attentatori sono cittadini europei. Sono persone che sono cresciute nelle scuole europee, che hanno fruito dei servizi pubblici europei, che hanno vissuto dentro il consumismo occidentale. E che "all'improvviso" prendono la strada della deviazione terroristica. Ma come è possibile che da una realtà di immigrazione radicata sul territorio europeo, come quella francese, che ha prodotto una società nei fatti multietnica, dove l'integrazione è avanzatissima e passa dentro il corpo stesso della società francese, dentro le famiglie francesi, succeda oggi una cosa del genere? Chiediamocelo. E ricordiamo che una giovane donna marocchina è stata Ministro della Repubblica Francese, figlia di modesti immigrati. Allora non possiamo lasciar passare il concetto che il terrorismo di oggi in Europa sia frutto o sia riconducibile in alcun modo ai flussi di immigrazione recenti ed ai relativi problemi di accoglienza. Anzi, sono tutti e due effetti tragici delle ferite profonde inferte al Medio Oriente ed all'Africa negli ultimi quasi trent'anni.

Come credenti non possiamo tollerare l'ipocrisia di coloro che addossano la responsabilità dei tragici fatti di venerdì alle politiche di accoglienza degli immigrati. E sentiamo anzi l'urgenza di avviare un percorso di comune riflessione per contrastare, specie nel nostro Paese ed in Campania, una deriva culturale razzista e di rifiuto verso gli stranieri portatori di culture diverse. Dobbiamo ragionare sulle strutture sociali, sulle condizioni di vita di ampie fasce di popolazione nel nostro territorio, su una società che, se diventa luogo di esclusione e marginalità, produce malessere e terreno fertile per il fanatismo e l’intolleranza. Rispondere ai fatti di Parigi con la chiusura culturale verso l’Islam, religione di tanti immigrati che vivono e lavorano qui ed anche di tanti profughi nelle strutture di accoglienza, farebbe solo crescere esponenzialmente i problemi, senza affrontarli.

E' il momento che tutti i credenti si uniscano. Non solo nella condanna delle teologie della violenza, ma per aprire una concreta testimonianza sociale, che possa rendere tangibile e trasparente che non è in atto una guerra di religione, e neanche uno scontro di civiltà. Perchè è urgente che prevalga nella società la consapevolezza che la stragrande maggioranza dei credenti vivono la propria fede come motore di apertura e non di rifiuto.

Napoli può diventare un laboratorio sociale. Chiediamo ai credenti tutti di aprire un confronto su queste tematiche, di aprire spazi di condivisione e di fraternità. Perchè mai più dovremo consentire ai governi di realizzare scempi come le guerre realizzate negli ultimi 25 anni contro il terrorismo, che lo hanno piuttosto alimentato e foraggiato con cinismo assoluto, lasciando crescere questo cancro, pensando di manovrarlo come in una partita a scacchi. Con assoluto disprezzo per i civili: tutti i civili, in Europa, in Medio Oriente, in Africa.  Non possiamo esimerci dal costruire, dal basso, il cambiamento che desideriamo nel mondo.