LA POMPEI DEL XXI SECOLO: POMPEI TRA ARCHEOLOGIA, RELIGIOSITA’ E TURISMO. IDENTITA’ E FUTURO

Una relazione interessante e incisiva dell'ex amministratore del Santuario di Pompei, Mons. Pietro Caggiano
letto 2029 volte
25177-10150161221405223-6808129-n.jpg

Martedì 29 Aprile 2014, nella Sala Consiliare del Comune di Pompei, si è tenuto un interessantissimo convegno: "Pompei: tra Archeologia, Religiosità e Turismo", Si è trattata della prima occasione di pubblico confronto delle tre massime cariche istituzionali della Città di Pompei. Tre anime a confronto per il futuro di Pompei: La Chiesa, il Comune e gli Scavi archeologici. Una volta tanto senza sterili polemiche ma con il fine unico del bene di Pompei.

Il convegno è stato promosso dal Comune di Pompei insieme all'università degli studi Suor Orsola Benincasa, all'università degli studi del Sannio, alla Sovrintendenza Archeologica di Napoli e Pompei e al Pontificio Santuario della Beata Vergine di Pompei.

Dopo i saluti di rito del Commissario Prefettizio al Comune di Pompei, dott. Aldo Aldi, dell'Arcivescovo Prelato di Pompei, S.E.Mons. Tommaso Caputo, del Rettore dell'Università "Suor Orsola Benincasa" di Napoli, prof. Lucio D'Alessandro, ha avuto inizio il convegno. Tra le tante relazioni presentate, non ce ne vogliano gli altri relatori, ma quella che più ci ha colpito, per incisività e conoscenza del territorio, è stata la relazione di Mons. Pietro Caggiano, ex amministratore del Santuario di Pompei. Relazione che riportiamo integralmente qui di seguito. 

“Sono molto grato agli Organizzatori per l’opportunità di partecipare a questo Convegno sul Futuro di Pompei. Non è la prima volta che si affronta questa problematica, ma è bene non demordere. Il mio intervento non sarà accademico, teologico ma un racconto semplice della religiosità della nostra Città.  Come cittadino, qui residente da 63 anni, e cristiano, inserito in questa speciale comunità ecclesiale, sento il piacere ed il dovere della “cittadinanza attiva”. A questo proposito vale la pena ricordare che il ‘piccolo nucleo’ (circa 300 persone) della ‘Valle di Pompei’ di fine Ottocento, si arricchì ben presto di forestieri chiamati da Bartolo Longo per collaborare alla nascente Città. Molti altri vennero dopo gli anni ’50. Tra i circa 27000 Pompeiani di oggi si notano tanti aspetti positivi ma ce n’è uno, che sembra il peccato originale: la difficile coesione  dei cittadini che porta alla mancanza del senso dell’appartenenza. 

Vado ora al mio tema sulla Religiosità. Nel contesto del Convegno mi sembra che la Religiosità  abbia un aspetto fondante: Essa è, con la Cultura, componente essenziale dell’identità. Ma anche un altro aspetto come conseguenza: Senza rispetto dell’identità non c’è  futuro. 

a)Come si è inserita la Religiosità nel Pompeiano? 

Mi sembra naturale fare un breve riferimento alla Pompei archeologica.La felice posizione territoriale attirò insediamenti già nell’Età del Bronzo e del Ferro. Ma è soltanto tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo a.C. che a Pompei si può trovare la prima traccia concreta di un abitato stabile, organizzato sul modello della città. Il nucleo più consistente si formò nella Regio VII intorno ad un  antico luogo di culto che venne ora potenziato e trasformato nel santuario dell’abitato sotto la potestà di Apollo” (Stefano De Caro, Avventura dello Spirito, p.5).

Non ci sono dubbi, dunque, sulla religiosità dell’Antica Pompei. Essa  conserva una decina di templi all’interno del recinto ed almeno uno extra moenia (a S. Abbondio) oltre i numerosi luoghi di culto nelle case, i numerosi e vari ex-voto ed i sepolcreti appena fuori il recinto murario. Vorrei aggiungere che la morte delle migliaia di persone a causa dell’eruzione, rende Pompei un luogo sacro. Nemmeno mi sembra esagerato dire che al ’79 erano passati , o vivevano, alcuni Cristiani che vi lasciarono qualche  segno indicativo (Criptogramma del Paternoster). Del resto S. Paolo aveva visitato verso il 62-64 la comunità di Pozzuoli. 

La fondazione della Pompei attuale non si perde nel mito o nella notte dei tempi. Tutto cominciò semplicemente ed improvvisamente tra il 1872 ed il 1875.

Ai primi di Ottobre il giovane Avvocato Bartolo Longo giunse a Pompei per affari professionali quali la raccolta dei canoni agricoli ed altri benefici per conto della proprietaria Contessa de Fusco. Fu, invece, impressionato dalla povertà economica, sociale e religiosa. Uscito da poco da una crisi spirituale, che l’aveva irretito nella superstizione e spiritismo durante gli studi universitari a Napoli, si domandò in che modo avrebbe potuto salvarsi ed aiutare quei contadini. Don Bartolo così racconta la sua ‘conversione’: “ … pervenni al luogo più selvaggio di queste contrade …. Tutto era avvolto in quiete profonda. Volsi gli occhi in giro: nessun ombra di anima viva. Allora mi arrestai di botto. Sentivami scoppiare il cuore. In cotanta tenebrìa di animo una voce amica parevami mi sussurrasse: Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. E’ promessa di Maria. … Chi propaga il Rosario è salvo! Questo pensiero fu come un baleno che rompe il buio di una notte tempestosa … Con l’audacia della disperazione, sollevai la faccia e le mani al cielo, e rivolto alla Vergine celeste: Se è vero- gridai – che tu hai promesso a san Domenico, che chi propaga il Rosario si salva; io mi salverò, perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario. Niuno rispose: silenzio di tomba mi avvolgeva dintorno ...Una lontana eco di campana giunse ai miei orecchi, e mi scosse: sonava l’Angelus del mezzodì. Mi prostrai e articolai la prece che in quell’ora un mondo di fedeli volge a Maria. Quando mi levai in piedi, mi accorsi che sulle guance era corsa una lacrima” (Storia del Santuario di Pompei, p 58-60). 

Ne segue la storia semplice di un’immagine che fa il suo ingresso a Pompei, il 13 Novembre 1875, su di un carro che trasportava letame da Napoli. Pompei, dunque, non è nata da un piano precostituito. E’ cresciuta lentamente secondo le esigenze di uno sviluppo e di un programma che si presentavano giorno per giorno. La guida forte e costante di Bartolo Longo fu la preghiera del Rosario contemplato ed attuato. I segni dei tempi – progetti e provvidenza – erano interpretati dal Beato nello sforzo di adeguarsi alla volontà di Dio  ed ai bisogni dei fratelli e sorelle. Di qui la Carità che non teme le difficoltà e i rischi. Molti furono scandalizzati e disorientati dalle iniziative sociali del Beato. Egli scrive: “A misura, perciò, che la pubblica inesauribile carità ne forniva i mezzi, io raccolsi quanti fanciulli potei, figli dei carcerati, e curai che fossero educati secondo un metodo speciale”. (Storia …..p.)

Di fronte alle affermazioni positivistiche egli proponeva il suo grande atto di fede che resterà sempre l’idea centrale dell’opera. Egli era cosciente di questa avventura  e la volle vivere integralmente.

 Abitualmente chiamiamo la città ‘Pompei’, ma nell’intenzioni del suo Fondatore avrebbe dovuto chiamarsi ‘Nuova Pompei’. E questo per il riferimento, spesso in contrasto con l’antica Pompei: “Allato ad una terra di morti gli si è presentata di subito una terra di risurrezione e di vita: all’infranto anfiteatro, insozzato di sangue, si contrappone un Tempio vivo di fede e di amore, un Tempio sacro alla Vergine Maria; ad una città sepolta, … succede una città piena di vita, che attinge la sua origine dalla civiltà nuova portata dal Cristianesimo: la Nuova Pompei …” (Storia, p.18 s.) . Nel tempo il Longo cambiò ‘registro’: il famoso Matteo Della Corte era stato per un periodo uno dei suoi segretari. 

Tutto quanto si vede e si ammira è l’avventura umano-divina di Pompei e del suo Fondatore. E’  dove vuole e ne senti la voce ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). Bartolo Longo ‘fu condotto dallo Spirito’, di volta in volta, nel deserto o nella messe abbondante; nel buio della notte o nella luce radiante del meriggio.

Niente di straordinario, si dirà. Ma la ‘straordinarietà’, mi si perdoni il bisticcio delle parole, sta proprio nell’interpretazione ed adesione che il Fondatore diede ad eventi ‘ordinari’. Per questo egli merita di essere proposto, anche attraverso la dichiarazione finale di santità, un modello di vita Cristiana soprattutto per i laici. Ritengo che un religioso al suo posto non avrebbe fatto tanto: in quel tempo di anticlericalismo Dio inviò un laico con famiglia quali pionieri della rinascita della tradizionale laicità cattolica.

Mi sembra facile e coerente chiudere questo primo punto.

La felice contiguità delle due Città; le folle che le visitano costantemente; la religiosità fin dalle rispettive fondazioni ed, infine, la non contrastante associazione di Cultura e Religiosità nella formazione dell’identità del Pompeiano, fanno pensare ad un unico progetto provvidenziale. Ad una sola “Avventura dello Spirito”. Le facce dell’unica medaglia si integrano piuttosto che contrastarsi nella composizione dell’ identità.

Forse Franco Cardini non applicherebbe a noi quanto ha riportato in un elzeviro dell’Avvenire (25 -03 – 2014, p.23). “Di memoria e d’identità si parla fin troppo, di questi tempi: al punto che qualcuno ha proposto di bandire per almeno dieci anni tali due termini dal nostro lessico, sia ordinario, sia intellettuale”.  

a) L’identità è il futuro.

Credo possiamo descrivere l’identità del Pompeiano con queste parole: colui che ispira se stesso alla Cultura ed alla Religiosità Cristiana e ne diventa anche promotore nella vita quotidiana’.

Tutto il resto gira intorno ai due gioielli che il Signore ha regalato  a Pompei ed al mondo intero. Il nome di Pompei è universale e va custodito e promosso in tutti gli aspetti. E’ un Copyright o un Brand da proteggere: i difensori nati sono i Pompeiani che affidano gelosamente ai propri rappresentanti nelle varie funzioni civili e commerciali.   

Fin dal 1982 ho usato due metafore nel parlare della nostra Pompei: una biga non potrà mai muoversi bene senza le due ruote (la Pompei Antica e la Nuova) oppure Pompei ha nelle ‘due città’ gli unici ‘due pozzi di petrolio’ per il nostro benessere. Aggiungo ora: Pompei è un’oasi speciale, benedetta: come tutte le oasi deve essere usata ma anche protetta, evitando il rischio della sparizione (desertificazione).

Ben venuta la creatività nel promuovere lo sviluppo, ma tutto deve muoversi ed integrarsi in accordo con la identità della Città. Con più di quattro milioni di visitatori all’anno è necessario provvedere servizi d’ogni genere con l’adeguata promozione ed efficace informazione. Non si può annunziare un evento (spesso costoso) all’ultimo momento: è denaro sprecato. Così pure è necessaria la garanzia che i vari eventi durino nel tempo (almeno per cinque anni). Il lamentato ‘Mordi e Fuggi ’ dei pellegrini e dei turisti potrà cessare solo offrendo loro adeguate ragioni di sosta.

Forse un serio esame della urbanizzazione, mirata più agli interessi del Paese che a quelli personali o clientelari, potrebbe ancora ribaltare le mancanze passate. Queste poche e generiche affermazioni, che richiedono ben altro tempo ed attenzione, mi sembrano sufficienti a confermare che il futuro dipende dalla fedeltà alla nostra identità”. 

Bellissima relazione che ha reso il convegno di grande interesse, dove si è discusso del futuro del turismo ed il ruolo del turista e quello del pellegrino, che a volte restano separati, ma tante altre volte si intrecciano. Ma una cosa è da tenere presente, la valorizzazione dei beni archeologici e la riqualificazione della città dal punto di vista turistico e della religione, pur essendo anime diverse sul territorio, hanno un fine unico che è la “Nuova Pompei”, come voleva chiamarla Don Bartolo.

Lo tengano bene a mente i "politici" che si apprestano a prendere le redini di questa importantissima città.