PROSPETTIVE E PROBLEMI DELLA SANITA'

Fondazione T. & L. de Beaumont Bonelli per le ricerche sul cancro: Pres. Giulio Tarro
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(Nella foto il giovane Giulio Tarro con Sabin, mentre lavoravano alla scoperta del siero antipolio). Come è noto, la prevenzione è l'insieme di interventi finalizzati ad impedire o ridurre il rischio (ossia la probabilità) che si verifichino eventi non desiderati ovvero ad abbatterne o attutirne gli effetti in termini di morbosità, disabilità e mortalità. Tale concetto, universalmente accettato, ha avuto nel tempo e continua ad avere declinazioni differenti.

La cosiddetta ?Medicina predittiva?, ad esempio, è intesa oggi in un Occidente permeato di ansia, da una parte crescente di popolazione, come una mera sequela di test i quali, comunque raramente definiscono una certezza (se, quando e a quale livello di gravità la persona interessata si ammalerà) ma solo ?predisposizioni?; in non pochi casi questa consapevolezza del rischio finisce per alimentare una sorta di ipocondria che sfocia nell?effettuazione di atri test o addirittura nella arbitraria assunzione di farmaci. L?aumento negli ultimi anni delle malattie iatrogene, dovute cioè a errati rimedi, sempre più spesso non prescritti dal medico ma suggeriti da ?mode? o dalla pubblicità, (come è il caso dei famigerati ?integratori?) è una testimonianza di ciò.

Nella mia oramai cinquantennale carriera di medico ho sempre inteso la prevenzione come cultura e a tal fine, anche collaborando con le più diverse organizzazioni e tenendo non so più quante (ma si tratta, sicuramente, di un numero a quattro cifre) conferenze, incontri, dibattiti... ho cercato di infondere il concetto di prevenzione come un aspetto del più vasto amore per la Vita.

Un esempio è stato il ?Progetto Martina?, una emozionante esperienza nella quale, nonostante fossi docente e formatore, mi ha insegnato molto. Il sottotitolo del Progetto - Parliamo ai giovani dei tumori. Lezioni contro il silenzio ? agli inizi, mi faceva presagire un uditorio scarno e, tutto sommato sprezzante. Per quale motivo, infatti, pensavo una persona nel fiore degli anni avrebbe dovuto più che preoccuparsi, occuparsi, di un rischio così grave da essere, dai più, rimosso? L?attenzione dei ragazzi e delle ragazze che affollavano gli incontri e i loro numerosi commenti, riportati nel sito internet ( www.progettomartina.it/files/commenti-studenti.pdf ) predisposto dai curatori del Progetto hanno testimoniato una realtà ben diversa. E le innumerevoli domande su aspetti pratici, quali le modalità dell?autopalpazione del seno o della vaccinazione HPV, o su aspetti di carattere generale, quali l?incidenza del fumo o dell?ambiente, hanno evidenziato una sensibilità e una cura di sé che davvero contrastano con il cliché dell?adolescente abulico e cinico che viene riproposto dai mass media.

Una bella esperienza, insomma anche se, nel campo della prevenzione sanitaria ,incontri pubblici e lezioni frontali, se pur fondamentali per stimolare una domanda di conoscenza, non possono esse sole sopperire a quella formazione della consapevolezza che può essere garantita soltanto da un attento Counseling.

Uno dei principi del Counseling sanitario può essere definito dalla frase del filosofo greco Epitteto: ?Non siamo preoccupati dalle cose, ma dall?opinione che abbiamo di esse?. Essere medico, oggi, non è semplice, si devono fornire risposte, motivare, comunicare diagnosi e terapie, interpretare bisogni ed i pazienti sono sempre più esigenti ed ?informati?. Il medico è spesso ?parte del problema? del paziente, rappresenta colui che deve ?dare risposte?. Queste risposte possono essere comunicate in molti modi, dando diverse visioni di sé e motivando diversamente il paziente. Tecnicamente tra i compiti del medico non vi è solo quello di informare sulla diagnosi e sulla terapia, ma anche quello di essere ?terapeuta? come figura, di dare assistenza a chi si rivolge a lui con fiducia, avendolo spesso preferito ad altri colleghi, ma soprattutto deve comunicare con chi è nello ?status? di malato, di persona che unisce al disagio della patologia, quello dell?accettazione della stessa. Il ruolo terapeutico del medico come ?figura? prevale su quello del medico come semplice ?prescrittore?. È per questo che occorre attivare un processo di consapevolezza e di supporto per conferire ?maggior potere? al paziente in senso positivo, facendosi percepire e migliorando gli aspetti della relazione.

Molto più complesso diventa il ruolo del medico quando deve rivolgersi non già al proprio paziente ma ad una platea di indistinte persone, sopratutto se giovani. La tentazione è allora quella di ammantarsi di quel senso di autorevolezza che in molti casi  si trasforma in protervia. Un atteggiamento che, ad esempio, è stato alla base del fallimento del referendum sulle cellule staminali.

Mi sia concessa, ancora, qualche considerazione legata alle mie esperienze. Da decenni ormai, anche da qualche posizione ?istituzionale? (come il Comitato Nazionale per la Bioetica, dove entrai nell?oramai lontano 1995) sono impegnato a divulgare tematiche, ancora oggi da molti ritenute questioni per gli ?addetti ai lavori?, quali ad esempio l?impatto delle biotecnologie. Il referendum del 2005 sulla procreazione assistita e, sostanzialmente, sulla liceità dell?utilizzo di cellule staminali embrionali credevo, quindi, potesse essere una occasione per fare uscire la Bioetica dalla torre d?avorio degli ?esperti? e in tal senso, proprio in quel periodo mi impegnai in una serie davvero sterminata di conferenze, dibattiti, iniziative divulgative...

Come è noto quel referendum fu invalidato dalla mancanza di quorum (votò solo il 25% degli aventi diritto). A determinare questo risultato contribuì certamente, (oltre alla scarsa attenzione da parte dei principali mass media e l?avvilente livello di ?alfabetizzazione scientifica? che caratterizza ancora il nostro Paese) le davvero infelici prese di posizione (oltre che delle forze clericali) di non pochi scienziati i quali, anche per l?arroganza che in qualche caso ha caratterizzato i loro interventi e la enfatizzazione, oltre ogni misura, della potenzialità ai fini terapeutici delle cellule staminali embrionali ha finito per cementare in vasti settori dell?opinione pubblica una sorta di contrapposizione tra Scienza e Umanesimo o, addirittura, una visione della Scienza come meccanismo cieco volto a perseguire, come unico fine, la soddisfazione dei deliri di onnipotenza dello scienziato.

Che lezione trarre da tutto ciò? Non certo che lo scienziato, e il medico in particolare, non debba, ?scendere in campo? e impegnarsi anche con passione nella mobilitazione dell?opinione pubblica ma è bene che sappia che oggi la percezione della ?Scienza? da parte della stragrande maggioranza della popolazione è ben diversa da quella salvifica e onnipotente in auge fino a non molti decenni fa. Una crisi di credibilità da attribuire anche alla sovraesposizione mediatica di numerosi scienziati e medici che hanno continuano a presentare come imminenti catastrofi ?epidemie? destinate a ridimensionarsi in breve tempo. È stato il caso della ?Mucca pazza?, dell??Influenza cinese?, dell?Escherichia coli...

E sotto certi aspetti dello stesso AIDS.

 Le paure, anzi le psicosi, dell?AIDS sono oggi svanite e stento a ricordare che ci fu un tempo in cui venivo chiamato a tenere conferenze davanti ad un pubblico che, in preda al panico, raccoglieva firme per allontanare gli omosessuali dai campeggi paventando un contagio dell?AIDS attraverso il morso delle zanzare o che temeva la stretta di mano.

Certo oggi le catastrofiche previsioni sul contagio dell?epidemia (un milione di statunitensi morti nel 1996 secondo Antony Fauci, direttore del NIAID, tanto per citarne qualcuna) appaiono, a di poco, esagerate. E credo che sarebbe il caso di interrogarsi sul perchè dell?affievolirsi di quella che veniva definita la ?Peste del XX secolo?. Sicuramente non grazie ad un vaccino o a risolutive terapie. E neanche grazie al successo di campagne di prevenzione. Certo, alcune linee di trasmissione dell?infezione come lo scambio di siringhe tra tossicodipendenti si sono affievolite (sostanzialmente per il netto calo degli eroinomani) ma l?andamento delle Malattie a Trasmissione Sessuale continua a restare costante, se non in leggera ascesa (come attestato da uno studio del 2011 dell?European Center for Disease Prevention and Control) mentre l?uso del preservativo, a leggere le statistiche e i dati di vendita di questo prodotto, non sembra aver conosciuto negli ultimi decenni quel boom che l?allarmismo avrebbe dovuto determinare. E tutto questo nonostante costose campagne di prevenzione, come quelle realizzate nell?ambito del ?Piano nazionale della prevenzione? (Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005) coordinate dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie.

Ci sarebbe, quindi, da domandarsi sui limiti di queste campagne di prevenzione e come meglio strutturarle. Mi permetto qui di formulare alcuni suggerimenti, che hanno trovato riscontro nel ?Progetto Marina?.

Intanto credo si debba partire dal vissuto delle persone che ci si trova davanti. Un atteggiamento questo che obbliga il medico impegnato in campagne di prevenzione a superare tutta una serie di condizionamenti mutuati dal suo tradizionale rapporto con i pazienti. Da sempre, fin dal Giuramento di Ippocrate infatti, il rapporto medico ? paziente è stato caratterizzato da un?etica medica paternalistica, vale a dire da una concezione etica che prescrive di agire, o di omettere di agire, per il bene di una persona senza che sia necessario chiedere il suo assenso, in quanto si ritiene che colui che esercita la condotta paternalistica (nel caso specifico il medico) abbia la competenza tecnica necessaria per decidere in favore e per conto del beneficiario (il paziente). Da questa prospettiva, il medico è impegnato a ripristinare una oggettiva condizione di salute (indipendente dalle preferenze del paziente) e la relazione è fortemente asimmetrica poiché il paziente viene considerato non solo privo della conoscenza tecnica ma anche incapace di decidere moralmente. I principi etici che sono alla base del paternalismo sono il principio di beneficenza ? che prescrive l?obbligo di agire per il bene del paziente ? ed il principio di non maleficenza - che esprime l?obbligo di non arrecare danno al paziente. Va da sé che questo atteggiamento non può caratterizzare le campagne di informazione-prevenzione; se questo succede, anche un ora di conferenza (pur se vengono trattate questioni che certamente dovrebbero coinvolgere l?uditorio quali, ad esempio, le malattie a trasmissione sessuale, la prevenzione dei tumori, gli stili di alimentazione, il fumo, le emergenze cardiologiche...) diventa una pedante esposizione di concetti, fondamentalmente inutile in quanto questi sono stati, quasi, sempre appresi (e in modo molto più avvincente) dai mass media.

Molto meglio, invece, rapportarsi all?uditorio (sopratutto se composto di giovani) partendo dalla valutazione delle risorse interiori, delle credenze, delle resistenze, delle strategie di copyng già presenti nel ragazzo favorendo, tramite un supporto emotivo, la riduzione dell?ansia e la messa in atto di strategie e di comportamenti corretti.

Ovviamente ogni gruppo, ogni ragazzo/a, è storia a se e non è certo possibile analizzare preventivamente per ognuno di questi identificare la rete d'influenze sociali, come quelle determinate dalla scuola, dalla famiglia e dai coetanei. L'interazione sociale, del resto, non è un processo unidirezionale, ma è un processo circolare che sprigiona emozioni, sensazioni e legami. Ma identificare questo processo, questo sviluppo cognitivo ed emotivo, ad esempio, attraverso l?intuito che scaturisce dall?impegnarsi quasi quotidianamente nella divulgazione e nello svolgimento di campagne di prevenzione è basilare.

Ancora più importante è poi l?analisi delle domande alle quali non si è saputo dare risposte, i suggerimenti, le obiezioni delle persone coinvolte nella campagna di divulgazione. Da questo punto di vista, il Progetto Martina rappresenta una felice eccezione nel panorama spesso non esaltante delle campagne di prevenzione in Italia e la sezione del sito internet dedicato  a questo punto è una miniera per chi volesse strutturare efficacemente campagne di prevenzione. Un suggerimento su tutti ?...nessun ragazzo con tutta questa gente troverebbe il coraggio di fare alcune domande; non sarebbe meglio fare scrivere la domanda in forma anonima su un foglio e porla così al relatore?? Può sembrare una proposta banale per chi ha dei giovani lo stereotipo imposto dalla TV, ma la realtà giovanile è fatta anche (starei per dire principalmente) di ragazzi e ragazze solo in apparenza sfrontati.

In realtà ricerche sociologiche e, per quel che può valere, la mia impressione maturata in innumerevoli incontri divulgativi, delineano una analisi ben diversa. Oggi i giovani (anche per via di una più che decennale stagnazione economica che li relega ai margini del sistema produttivo) risultano essere molto più fragili dei loro coetanei di decenni fa e cercano di superare questa vulnerabilità facendosi accettare dal gruppo tramite stili di vita e di consumo. Nasce da qui (e da dissennate campagne di marketing) il preoccupante aumento del consumo di alcool che è diventata la prima causa di morte (incidenti stradali, cirrosi epatica...) tra i giovani. Un consumo non percepito come fattore di rischio ma che viene associato a momenti di gioia e di benessere.

Nasce da qui l?esigenza per il medico di meglio calibrare la sua attività di divulgazione. Una missione, comunque, sempre più difficile considerando che, secondo la ricerca, effettuata nel 2011, dal Forum per la Ricerca Biomedica e dal Censis ??La domanda di comunicazione sulla salute? il medico veniva considerato punto di riferimento dal 65,8% degli Italiani (nel 2003 era il 71%). Alle spalle del medico di medicina generale cresce invece l?importanza dei media. Nel periodo 2003-11, ad esempio, quasi raddoppia l?audience delle trasmissioni televisive dedicate alla salute mentre Internet ha una impennata. In calo, invece, il passaparola: i semplici consigli dei parenti o degli amici, dei vicini di casa o dei colleghi di lavoro scendono dal 32,9% al 21,7%.

Questi dati, così come ribadito dagli estensori della Carta di Firenze (che propone regole che devono stare alla base di un nuovo rapporto tra medico e paziente e medico e pubblico) suggeriscono un rigore maggiore e una maggiore accortezza nel formulare indicazioni sensazionalistiche che, al di fuori d?ogni ragionevolezza, tendono a promettere l?impromettibile all?utenza.

Non che si voglia rimpiangere il tempo del passaparola, - evidenziano gli estensori della Carta - ma certo molti sospetti emergono esaminando la struttura e i modi di tante trasmissioni televisive (vetrine per ?prime donne?) e siti internet (proclamazioni d'imbonitori e con contenuti davvero di dubbio valore scientifico). Il concetto d'informazione è quanto mai vasto e differenziato: informazione è in generale qualunque notizia o racconto, qualunque comunicazione scritta o orale contenente dati. Molto spesso nel tentativo di divulgare una informazione scientifica si nascondono interessi altri dalla corretta informazione dei cittadini (pubblicità più o meno occulte verso procedure, farmaci, professionisti ecc).

E così come ribadito da Mario Bernardini (Presidente della Associazione della Stampa Medica Italiana), non è possibile sottovalutare l'importanza di un corretto impiego dei mass media per contribuire all'impegno sociale d'informazione della popolazione e alla contemporanea formazione ed educazione sanitaria del cittadino. Il loro impiego rientra tra i mezzi utili a fare conoscere gli strumenti, gli interventi, i farmaci e le risorse che il progresso biomedico rende disponibili per la cura delle malattie, conservare la salute e garantire il benessere psicofisico del singolo e della collettività.

Articolo del prof. Giulio Tarro, per la biografia intera vai su :www.giuliotarro.it su Fondazione T. & L. de Beaumont Bonelli per le ricerche sul cancro.