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GUARDARSI DENTRO RENDE CIECHI'
Un di’, una leggiadra farfalla guardava ammirata un millepiedi, osservando stupita come questi riuscisse a muovere, in modo straordinariamente coordinato le minuscole zampe. Allora avvicinata sì ad esso, lo apostrofò:
\"Ehi Millepiedi, ma come fai a muovere tutti i tuoi piedi in quel modo?” Il Millepiedi, che non ci aveva mai fatto caso, iniziò così a ragionare sulla domanda e nel giro di pochi istanti perse la capacità di coordinazione e di muoversi...
A ragion veduta, la suddetta parabola sosterrebbe la visionaria tesi: “Guardarsi dentro rende ciechi”, coniata dal filosofo e psicologo Paul Watzlawick, austriaco naturalizzato statunitense, eminente esponente della Scuola di Palo Alto-Mental Research Institute - nonché seguace del’approccio del Costruttivismo.
L’assunto cardine del Costruttivismo e’ fondare la conoscenza individuale, sulla acquisizione di se’ derivante dall’esperienza personale, cioè una costruzione di significato soggettiva, attraverso una sorta di ‘mappe cognitive’ che ogni persona rielabora sulla base di esperienze, nel corso della vita, per realizzare autonome interpretazioni della vita, dell’Io e della realtà.
Se nell’antichità, in particolare durante l’Ellenismo, il ‘guardarsi dentro’, rappresentava una sorta di esercizio dai più attuato, oggi più che mai, la maggioranza delle persone risulta essere annichilita dai propri stati interiori, realizzando quello che è definito ‘evitamento esperienziale’.
E questo fenomeno risulta essere addirittura invalidante, paralizzante per gli esseri umani, individui sociali, costretti all’isolamento forzato, o lockdown, durante l’attuale Pandemia.
Sarebbe oggi auspicabile che il processo di crescita sociale e personale potesse seguire due strade: il lavoro in team ed insieme, un processo di graduale scoperta di se stessi.
“Nosce te ipsum” è una locuzione latina che traduce la massima religiosa greca “γνῶθι σεαυτόv”, uno degli apoftegmi attribuiti ai Sette Sapienti che, incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, esortava gli uomini al riconoscimento della propria condizione e limitatezza umana. Socrate fece propria la stessa locuzione quale massima preferita, interpretandola come un invito a considerare i limiti della conoscenza umana, prima di procedere sulla via del sapere e quindi, della virtù.
Ed allora, per guardarsi dentro senza diventare ciechi, si dovrebbero trovare quegli occhiali (strumenti) che permettano di evitare l’errore epistemologico della linearità del pensiero... e tali mezzi visivi sono rappresentati dalla ‘presenza’.
Con questa dizione si voleva intendere che cercare di interpretare i propri moti interiori (pensieri, emozioni, sensazioni e comportamenti) dando loro delle spiegazioni di tipo causa-effetto, rischiava di farci impigliare maggiormente nei problemi che cercavamo di risolvere.
La sfida attuale è dunque duplice, riguarda il contenimento/risoluzione della Pandemia, sia la gestione di un carico sociale e psicologico notevole, dove anche chi lavora, o telelavora deve far convivere a propria volta la dimensione professionale e quella privata.
Va da se’, che non è semplice stabilire confini netti, con un crescente stato d’ansia generalizzato.
Ho in mente, per accomiatarmi una illuminante frase dello scrittore J. R. Tolkien, il quale sottolineava che “Il mondo è davvero pieno di pericoli e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle e, nonostante l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce più forte”.